Emigrants

Ğuan “Masat”, infortunato sul lavoro, in Svizzera

Giovanni Venturini (Masat) non conobbe mai suo padre.  Inizia così a raccontare la storia la figlia Carla. “Nacque a Gemona nel  1914. Suo padre, Giuseppe, morì sul Monte San Michele durante la prima guerra mondiale. La campagna di Russia. “Nel 1942 mio padre venne spedito in  Russia. Durante la  ritirata da Nicolajewka si congelò i piedi…. Continua a leggere

Venturini Giovanni in Svizzera.

Venturini Giovanni in Svizzera.

Giovanni Venturini (Masat) non conobbe mai suo padre.  Inizia così a raccontare la storia la figlia Carla. “Nacque a Gemona nel  1914. Suo padre, Giuseppe, morì sul Monte San Michele durante la prima guerra mondiale.

La campagna di Russia. “Nel 1942 mio padre venne spedito in  Russia. Durante la  ritirata da Nicolajewka si congelò i piedi. Rientrato, dopo il periodo di recupero all’ospedale militare di Cervia, nel 1944 si sposò con Gisella, mia madre, donna di carattere allegro e aperto (Ban). Come tutti i gemonesi cercarono di sopravvivere agli ultimi sussulti della guerra fino alla liberazione, pensando a come sbarcare il lunario.”

La valigia. “Poi, come tanti, mio padre emigrò  in Svizzera nel 1952 per fare il minatore. Io all’epoca avevo 3 anni, mio fratello piccolo 1.

L’incidente sul lavoro. Nel 1954 sopra Vana (località nel Cantone dei Grigioni, si veda la foto), mio padre insieme ad altri 3 compagni stavano scavando le buche per piazzare la dinamite: servivano a costruire  una galleria per far passare una condotta sotterranea d’acqua.  Forse non contarono bene il numero dei botti e quando rientrarono in galleria con la perforatrice (sulle spalle), la dinamite inesplosa scoppiò.  Tre persone persero definitivamente la vista. Mio padre, perse un occhio e con l’altro ancora incassato e al suo posto non vedeva nulla. Mia madre corse al suo capezzale.  Disperato, mio padre aveva confidato al medico l’intenzione di togliersi la vita: non aveva visto ancora il quarto figlio appena nato ed ora era diventato cieco. Il medico gli promise che avrebbe fatto di tutto per riportargli un po’ di luce negli occhi.  E così fu: grazie alla quarta operazione dopo tre mesi riacquistò un po’ la vista dell’unico occhio rimasto. A 42 anni, mio padre  era un grande invalido del lavoro.”

La famiglia in Svizzera. “Ma non tutte le cose andarono storte. La ditta gli garantì in ogni caso un lavoro, così  con tutta la famiglia ci trasferimmo in Svizzera dal 1958 al 1963. Nel 1963 rientrammo in Italia a causa dell’artrite reumatoide contratta da mio padre probabilmente sul lavoro.

Di quel periodo ricordo la difficoltà di integrazione: eravamo gli unici italiani in quel paese e taluni ci “invitavano” a tornare a casa: “Tornate a casa zingari” ci dicevano. Col tempo però le ditta, ma anche il paese apprezzarono le qualità dei friulani – onesti e lavoratori. L’amicizia con talune persone si trasformò in fattiva solidarietà:  durante il terremoto ’76 Ursula Horat, la figlia del titolare,  venne in Friuli e ci portò una roulotte completamente arredata. Venne a trovarci anche il medico che aveva operato mio padre. L’ultimo incontro nel gennaio di quest’anno.

Mio padre era un grande lavoratore, attaccato alla famiglia e poco propenso a frequentare le osterie. Dopo l’incidente era diventato comprensibilmente molto scontroso. Mia madre era gli occhi di mio padre, che  morì nel 1997.

Uno zio in Romania Viceconsole. Con un sospiro Carla conclude il racconto, ma prima di alzarsi e andare via mi racconta un piccolo aneddoto: “Uno zio di mio padre (un tal Forgiarini), ai primi del ‘900 andò con la famiglia in Romania,  divenne imprenditore edile e fece molti soldi. Venne nominato viceconsole (e infatti c’è, da qualche parte, una via Forgiarini intitolata  a suo nome). La vicenda curiosa è che gli diedero una medaglia perché si era sposato tante volte: taluni dicono 10. Morì in miseria.

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