Racconti

Marzo 1909. Ledis, la morte bianca.

Cronaca di una tragedia accaduta 106 anni fa, ai primi di marzo, in Ledis, quando veniva ancora tanta neve.

1970. Un altro marzo nevoso (via Zuccola)

1970. Un altro marzo nevoso a Gemona (nella foto via Zuccola)

L’inverno del 1909 è stato freddo e nevoso. Nei primi 15 giorni di gennaio a Tarvisio erano caduti 9 metri di neve. La prima decade di febbraio era  stata invece mite, un soffio anticipato di primavera.  Ma poi la mitezza lasciò di nuovo posto all’inverno. 

Ma qualcosa doveva ancora accadere di terribile nelle prime giornate di marzo: copiosi rovesci di neve e caduta di valanghe anche in  posti mai colpiti, a memoria d’uomo, dall’evento. Anche in Ledis. La madre di Pieri Gii raccontava che quando si è sposata, il 9 marzo di quell’anno, c’era ancora un metro di neve. A quei tempi le casere di Ledis erano abitate da pastori (per lo più giovani) e animali anche d’inverno. Il fieno e il pascolo sui versanti a mezzogiorno (Mont dal Soreli) sgombri da neve permettevano la  sopravvivenza di uomini e animali.

La storia. Aiutandomi con le cronache dei giornali del tempo («La Patria del Friuli e il «Giornale di Udine») messi gentilmente a disposizione da Cesare Sabidussi, vi  racconto il terribile accaduto.

Lunedì primo di marzo 1909. Sul mezzogiorno partivano da Gemona i giovani Cargnelutti Bortolo di Giacomo, Forgiarini Antonio di Giuseppe, Forgiarini Antonio di Biagio e Cargnelutti Francesco di Francesco, per recarsi a portare viveri ai loro parenti ed amici che si trovavano nella casera di proprietà dei fratelli Forgiarini detti “contadin dal fìer” nella località Navis. Fortuna volle che, a causa delle abbondanti nevicate, il loro viaggio fosse difficile. Stava scendendo la sera  quando arrivarono alla casera di proprietà di un Vuaràn (ora Faliscje). Il Cargnelutti voleva proseguire il cammino fino alla casera Copetti per trovare compagnia ed utensili, ma gli altri non vollero saperne, perciò decisero di fermarsi in quella casera a pernottare. Durante la notte si scatenò un furioso temporale con neve, grandi tuoni e lampi.

Martedì due marzo. L’indomani mattina, riscaldata un po’ di polenta che portavano nei loro sacchi e accompagnatala con un po’ di formaggio, fecero colazione e poi ripartirono. Giunti nei pressi della casera Copetti,  si presentò ai loro sguardi una scena terribile. Una valanga, alta 20 metri,  era scesa dall’alto abbattendo alberi e casera e andando a finire nel fondo della valle “sul riûl”. Non rimase in piedi che il fogolâr e dal camino di questo usciva al loro arrivo, quasi a salutarli il gatto miagolando! Cargnelutti Francesco rimase così colpito che non volle saperne di andare oltre. L’altro Cargnelutti lo accompagnò nella sua casera. Gli altri due intanto, visto che non potevano fare nulla per i disgraziati travolti, proseguirono il viaggio verso Casera Navis, raggiungibile  d’estate, in circa 4 ore. Anche qui la scena era la medesima: una valanga aveva travolto la casera e con essa  uomini e  bestie. Dei 3 pastori l’unico a salvarsi fu Forgiarini Toffoli, il quale descrisse così la tragica scena. “Verso le tre di notte – raccontò – mentre stavamo attorno al fuoco asciugando i vestiti, tra il fragore dei tuoni udimmo un fortissimo, insolito rumore, e intuendo che fosse prodotto dalla caduta di una valanga gridai agli altri di porsi in salvo. Io stesso mi ritrassi dietro uno stipite della porta. Mio cugino mi rispose di voler rimanere sulla panca ove era sdraiato, mio fratello obbedendomi, si dirigeva verso di me quando la valanga investì la casa e li trasportò via con essa”. Il Toffoli, dopo tre ore di lavoro disperato, riuscì a trarsi all’aria e raccolto un po’ di fieno si riparò in un angolo, per sopravvivere al freddo intenso. I due Forgiarini trasportarono il Toffoli “pressoché semivivo” nella casera di proprietà di Capriz Giuseppe , dove  arrivarono attorno alla mezzanotte.

Mercoledì 3 marzo. Dopo aver un po’ ristorato e riscaldato il povero Toffoli, la mattina seguente scesero a Gemona a raccontare l’accaduto. Il nostro Municipio diede subito disposizione per formare una squadra di soccorso composta di cinquanta persone fra cui tre guardie di finanza, tre carabinieri e il messo comunale. Verso la sera del mercoledì la compagnia arrivò alla prima casera abbattuta e subito incominciò il lavoro di sgombero fino a notte inoltrata. Metà delle persone andò a ricoverarsi in uno stavolo raggiungibile, in tempi normali, in due ore di cammino, e gli altri passarono la notte sulla neve.

Giovedì 4 marzo. Verso le 4 del mattino riprese a nevicare; attorno alle 8, vedendo che il tempo non aveva alcuna intenzione di migliorare, rientrarono a Gemona. Durante il loro lavoro recuperarono dalle macerie una cinquantina di capre, naturalmente morte, e nient’altro. Il capitano De Negri mandò sul posto 30 zappatori alpini ma a causa della bufera dovettero rientrare anch’essi.

Sabato 6 marzo. Partirono da Gemona 90 popolani per recuperare le salme. Recuperati e avvolti in lenzuola, furono portati al cimitero dove arrivarono a notte fonda (verso le 23.30)

Domenica 7 marzo. Il Municipio si assunse le spese dei funerali che furono seguiti  con grande concorso di cittadinanza. Le cinque bare, portate dai parenti e dagli amici, erano precedute dal clero, dalle confraternite, da una infinità di popolo con ceri, un plotone di alpini e dagli studenti dell’Istituto Stimatini. Seguivano le autorità tutte civili e militari, notai il sindaco cav. Antonio Stroili, il comm. Ancona, il pretore cav. Cavarzerani, il capitano De Negri e due tenenti, l’avv. Fantoni in rappresentanza anche dell’avv. Piemonte, ecc. ecc. Nel cimitero, prima che le bare fossero calate nelle fosse, il segretario comunale Rossini, tenne un commovente discorso.

Il bilancio delle vittime. Il triste bilancio fu di  cinque vittime fra le persone e molti animali:  sette manze e cinquanta capre di proprietà del Copetti, cinquanta capre di proprietà Venturini e settantacinque di proprietà Forgiarini. Nella casera dei Copetti perirono Copetti Giovanni di Giuseppe di anni 18, Copetti Giacomo fu Giobatta di anni 15 e Venturini Tomaso di anni 53, tutti di Gemona. Il povero Venturini Tomaso, per paura di perire a casua del cattivo tempo con la sua casera che si trovava in una posizione pericolosa, volle recarsi in quella del Copetti, ove morì; la casera di sua propiretà non subì invece danno alcuno. Nella Casera Navis trovarono la morte Agostino Forgiarini di Giuseppe di anni 18 e Pietro Forgiarini di Agostino, mentre Toffolo Forgiarini di Giuseppe si salvò.

Aprile 1909.  In soccorso delle famiglie colpite dalle valanghe nei boschi del Ledis furono raccolte e distribuite lire 644.

Maggio 1909. Dopo lo scioglimento delle nevi, le carogne delle bestie vennero sepolte, per ordine del medico provinciale, distanti dalle acque (Venzonassa), per evitare il rischio di epidemie.

Novembre 1909. Vennero conferite le medaglie d’argento al valor civile ai giovani Forgiarini Antonio di Giuseppe e Forgiarini Antonio di Biagio per l’atto coraggioso compiuto il 3 marzo 1909 in Gemona,  per le enormi fatiche sopportate e i gravissimi pericoli affrontati nel corso di una lunga marcia fra le nevi alte 2 metri e mezzo, al fine di soccorrere alcune persone sepolte sotto la valanga e trarne in salvo una.  La triste vicenda cari lettori potrebbe finire qui, ma non è così. Ricordate il Toffoli che fu l’unico a salvarsi in casera Navis. L’ultima parte della storia purtroppo lo riguarda (almeno da quello che ci è dato sapere) .  

Valanga 1909

Il percorso della valanga. Sotto gli stavoli dei Copetti

Dieci anni dopo. Intervista di un  giornalista della «Patria del Friuli» a Giuseppe Forgiarini (25 gennaio 1919). “Allo scopo  di non lasciarmi portar via dagli austriaci il rame-  disse un settuagenario, contadino, del borgo Savalons, certo Giuseppe Forgiarini fu Cristoforo, padre del Toffoli – nell’aprile dello scorso anno, quando già erano incominciate le requisizioni, portai le mie quattro caldaie sulla montagna Navis e le nascosi lassù”. “Mio figlio Cristoforo, soldato della classe 1886, era rimasto in paese. Ora, pensando pure lui di sottrarsi alla polizia germanica, temendo lo mandassero al fronte sui lavori, si nascose sulla montagna medesima, a custodire le caldaie e tenersi al sicuro. Si trovavano lassù anche altri soldati o fuggiti alla prigionia o disertori nostri, e fra essi certi Vittorio Maieron e Giordano Meneghelli,entrambi di Venzone. Il 15 agosto salii al nascondiglio e constatai subito, non senza stupore, che il terreno all’intorno, coltivato a patate già mature per il consumo, era spoglio. Cercai mio figlio, lo chiamai: non c’era. Preoccupato, feci ritorno a casa. Poco tempo dopo si sparse la voce che il mio povero figliuolo era stato ucciso dai compagni a scopo di furto. Non volevo credere a tanta perfìdia: l’uccisione di un compaesano, un povero fuggitivo, da parte di altri fuggitivi come lui!”. Tacque il povero vecchio, per qualche istante, poi riprese: “Venni più tardi a sapere che i due che ho nominato, il Meneghelli cioè e il Maieron, avevano venduto a Venzone carne bovina e tentato di vendere rame”. Lì, a Venzone, c’erano anche prigionieri italiani. A uno di questi, che alloggiava in casa di certo Bastian, confidarono di aver commesso l’omicidio. Povero il mio Cristoforo! Lo assassinarono a fucilate! Ben otto colpi gli spararono contro. E aggiunsero che avevano seppellito il cadavere sotto mucchi di foglie. Udì l’orribile confidenza anche il Bastian, che ripetè il racconto ad alcune donne; così, passando da una bocca all’altra, la notizia giunse anche a me. Il buon vecchio era tutto tremante, nel riferirmi la tragica fine del figlio. Così – concluse – per opera di quegli scellerati ho tutto perduto, caldaie e figlio! Il Toffoli aveva scampato la vita nel 1909 in Navis e purtroppo, sempre in Navis morì in modo orrido e brutale 10 anni dopo. Il destino ogni tanto fa strani percorsi.

I rilievi della forestale sulla valanga di Ledis (fonte: catasto valanghe, direzione regionale foreste, ottobre 2006). Nel 1934 il distaccamento di Gemona della milizia  forestale nazionale compilò una prima scheda tecnica dell’evento. Indicò il percorso della valanga in 550 metri e un fronte di 200 metri; la valanga di neve  pesante era stata causata da una scossa di terremoto. Una seconda scheda tecnica  venne compilata nel 1994 dal corpo forestale regionale. Corresse alcune imprecisioni della rilevazione precedente, intervistò Pietro Copetti e confermò  il terremoto come causa dell’evento. Nella cronache dei giornali del tempo non viene però mai citato il terremoto. Ho interpellato, per avere un riscontro,  la dottoressa  Peruzzi dell’Osservatorio sismologico di Trieste: “Ci sono diversi indizi di sismicità oltre-confine dai cataloghi sloveni e austriaci nel periodo febbraio-marzo 1909 , e questi sono compatibili, geograficamente ed energeticamente con l’instabilità di versante nella zona. Ma prove certe non ne ho trovate”.

 

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