Due mondi con due diverse prospettive: un rapido declino il primo, da confinare nella memoria; la speranza di uno sviluppo risolutore dei problemi dell’umanità, il secondo. In questo articolo racconto “das ôgis a Glemone”, avvalendomi delle preziose informazioni di Pieri Gî. Nel libro di Enos Costantini e Rino Gubiani Glemone: nons di lûc troviamo questa notazione: “Ôge è la slitta adibita al trasporto del fieno, dello strame e della legna. Ha dato origine ad alcuni toponimi”.
Era uno strumento fondamentale per trasferire a valle le risorse della montagna e rendere possibile la sopravvivenza di uomini e animali.
La struttura. Lis ôgis erano costruite con legno di faggio, orniello, nocciolo e salice. Tra i costruttori Pieri Gî ricorda i Capriz, Sef e Tin Lon nel periodo tra l’Ottocento e il ‘Novecento; successivamente Cargnelutti Giuseppe dai Dolo e Forgiarini Giuseppe detto “Bepon”. Lis ôgis forgiate dalle mani di Gjno, fratello di Milio dai Cjans dai Baldos sembravano delle opere d’arte, delle “gondole di montagna”. Il peso si aggirava sui 32 – 34 kg compresi gli accessori; in salita si caricava in spalla, invece in discesa era governata da una persona o da due sui tratti più difficili. Il carico poteva sfiorare i due quintali. In presenza di neve o ghiaccio si applicavano le catene “sot dai ogions“ (slittoni) e i “grips“ (ramponi) sotto i “stafès“ o gli scarponi. Per ridurre l’attrito si ungevano gli slittoni “cun la crodie dal ardiel” (lardo). Se la ôge prendeva velocità il conducente correva seri rischi: la mulattiera, infatti, era di poco più larga e non c’era via di scampo.
Incidenti. Pieri Gî ha vivo il ricordo di un incidente mortale successo nei pressi di Sant’Agnese e Aldo Palese (Cuelam) così ci racconta di quanto accaduto al padre: “Venne travolto e rimase vivo per miracolo, ma “cun la schene fracasade”, piegata in avanti per sempre e con una leggera gobba; morì molti anni dopo alzando un secchio per abbeverare gli animali perché continuò a lavorare pure in quelle condizioni”.
“Lis stradis da ôge”. Erano le mulattiere utilizzate per questo tipo di trasporto. Un escursionista attento può vedere ancora oggi i segni del loro passaggio sulle pietre modellate a forma di U o di L.
Si falciava in montagna per avere a disposizione il fieno che veniva raccolto in covoni (medis). Si ripuliva tutto: talvolta i pendii erano così ripidi che era preferibile rimanere scalzi per meglio aderire al terreno e, per indicare certe zone particolarmente impervie soprattutto del Cjampon e le particolari condizioni del lavoro, si usava il detto “Seâ e tignî la jerbe in bocje ”. In autunno si caricava il fieno in spalla e si scendeva fino al luogo dove era “parcheggiata” la ôge . Dalla fine di ottobre a tutto novembre transitavano ogni giorno in Foredôr fino a una cinquantina di ôgis con il loro prezioso carico.
Ogni area falciabile della montagna aveva la sua strada di riferimento. Ad esempio sul versante sud del monte Cjampon c’erano sette strade. Proviamo a individuarle servendoci dalla cartina e di alcuni toponimi di riferimento.
La strade da ôge das Palis: da Pecòl das Vacjs fino a sôt Plâcis
La strade da ôge di Fontanis: serviva tutta la zona compresa tra il Riûl di Fontanis e la Cueste da Gringhione (Ambrusèit)
La strade da ôge dal Fontanàt: serviva i Cuelus, la Pale dal Bôr e Pidigjéîs
La strade da ôge da bûse di Pieri Lungje: serviva il Boscùt di Fûr e di Dentri, Pecòl dai Becs, Plân di Zucat, Faugjèl, Faugjelùt, fino al Deneal Grant e Piciul e Frassin (area vicina al “slac dal taramot” sotto il Monte Deneal);
La strada da ôge dai Planessìs: serviva i Planessìs e Lacèit;
La strade da ôge dal Cjamòç: serviva Lis Baitis (ricovero per gli animali prima del rimboschimento degli anni ’30), Pecòl Cjarpinèit, Palombâr Piçul, Cjamòç;
La strada da ôge dal Palombâr Grant: serviva il Palombâr Grant e il Pecòl di Jacón.
Alcune di queste “stradis da ôge” confluivano sulla strada comunale del Foredôr, che collegava Gemona a Vedronza; la stessa serviva poi il Foredôr, lis Palis di Cjampòn, la Mont dal Clap, lis Vualbinis, Forcje D’Ajar, Faéit il Pecòl di Vedronge e, sul versante sud-est del Cuarnàn, la Praduline e i Pastorèçs. In prossimità della sella si biforcava e il passaggio basso veniva chiamato la strade da “ôge dal cjalcinat“.
A partire dagli anni sessanta questo mezzo di trasporto non si è usato più. Ora lo troviamo conservato in poche soffitte oppure nei musei.
Considerando le nostre tecnologie e i nostri attuali comportamenti sembra siano trascorsi da allora molto più di 50 anni; oggi le persone si spostano in auto anche per fare poche centinaia di metri. Non possiamo, né vogliamo tornare indietro ma la convinzione che non possiamo nemmeno continuare con gli attuali stili di vita.
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