“Con questa giornata, noi gemonesi non vogliamo solo darvi il benvenuto nella nostra città, ma speriamo anche di avviare un percorso di conoscenza reciproca che ci avvicinerà nei prossimi mesi”. È con queste parole che Federico Londero si è rivolto ai 18 profughi presenti a Gemona nel corso di un evento di cui si è fatto promotore assieme ad una quindicina di associazioni locali. Tra un piatto di frico e uno di “spezzatino alla pakistana”, e tra una danza pashtun ed une “cjante” friulana, i presenti in Salcons sono riusciti ieri mattina (24 luglio) a rompere il ghiaccio e ad avviare una relazione che, si spera, verrà approfondita anche nella quotidianità.
L’inizio di un rapporto nasce spesso con un momento di imbarazzo, in cui nessuno sa bene cosa dire, cosa fare. È stato così anche per la ventina di volontari – delegazione delle associazioni organizzatrici dell’evento – cittadini (almeno 4 di Godo) e i 13 ragazzi di nazionalità pakistana e i 5 cittadini afgani, ospiti dell’albergo “Agli amici” di Gemona. Un imbarazzo che è svanito, però, poco tempo dopo, quando si è passati alle presentazioni, ovvero quando a quei 40 volti è stato associato un nome ed una, seppur breve, storia. E se l’ostacolo della lingua è pesato sulla nascita di questo rapporto di convivenza, i presenti sono tuttavia riusciti a trovare mezzi alternativi per comunicare. Come il disegno: tre semplici bozzetti dei confini dell’Afghanistan, dell’Italia e del Pakistan sono bastati per rendere più intimo questo primo scambio. Reso tale, probabilmente, dalla voglia dei 18 richiedenti asilo di raccontare la loro storia, indicando su quelle mappe la loro città di origine.
È per questo che, quando ci si è avvicinati alle tavole da pranzo, ci si guardava già con occhi diversi. Con l’aiuto di un interprete ed un mediatore culturale i presenti sono riusciti a scambiarsi le ricette dei piatti in tavola. Da una parte la tradizione nostrana, con frico di patate e friabile, frittata, ma anche pizza e altro ancora. Dall’altra i ceci cucinati alla pakistana, spezzatino con patate e fagioli. Nel corso del pasto si è cercato da entrambe le parti di fare conversazione. Piccoli gruppetti si sono formati, in cui gli interlocutori hanno cercato di saperne di più sull’altro. Da dove vieni, che cosa fai, perché sei partito, perché sei qui oggi. Chi tra i richiedenti asilo se la cavava meglio con l’italiano ha aiutato i compagni a chiacchierare con i gemonesi. È stato difficile, ma anche interessante e divertente. Sicuramente è stato seminato qualcosa.
Tutto questo ha poi lasciato spazio alla musica e alla danza. La sala è stata liberata dai tavoli e si è riempita dei movimenti agili e ritmici del Pakistan e dell’Afghanistan. I ragazzi hanno subito coinvolto i gemonesi, che (bisogna dirlo per dovere di cronaca) si sono fatti un po’ pregare, prima di buttarsi nelle danze. La musica è continuata per un paio di ore. Si è perfino riusciti ad improvvisare un coro nostrano, che ha cantato “Stelutis alpinis”. Alla fine dell’evento, i partecipanti erano più accaldati e stanchi, ma anche più certi che la “conoscenza reciproca”, seppur difficile, sia possibile.
Annoto solo qualche appunto sulle storie di Jabar e Basharat (detto ‘Ali). Il primo, trentaseienne afgano, è arrivato in Italia lo scorso giugno, dopo un mese di viaggio che l’ha portato ad attraversare l’Iran, la Turchia, la Grecia e poi tutti i Balcani, fino a ad arrivare in Austria e quindi in Italia. Ha lasciato nella sua città natale, Jalalabad, una moglie e quattro figli, il più grande dei quali ha 8 anni, che spera di portare un giorno in Europa. Basharat è più giovane, faceva lo studente in Pakistan, prima che la frequenza degli attentati nel suo paese lo spingesse a mettersi in viaggio verso l’Europa. È arrivato in Italia da un anno e parla già bene l’italiano.
Francesco Cargnelutti
Non sono favorevole all’ arrivo di migranti a Gemona. Non vorrei che succedesse come in Francia.
Paura, preoccupazione, diffidenza sono comprensibili di fronte alla serie di fatti violenti che succedono quasi quotidianamente.Fatti sconvolgenti, ma non fermiamoci lì. Cerchiamo di capire come si può arrivare a queste situazioni. Troveremo, in molti cas, cause comuni e aspetti particolari..
Questa sensazione forte di disorientamento e di pericolo, rischia di rinchiuderci nell’indifferenza, nell’ egoismo o nella rassegnazione , peggioriando non solo la qualità della nostra vita, ma lasciando ampio spazio a chi ne vuole approffittare..
La terra nonè nostra o di pochi; agli esseri umani va riconosciuta dignità, anche se hanno storia, fortuna ,opportunità diverse..
La convivenza non è facile. Richiede anche un buon equilibrio tra regole condivise, conoscenza e rispetto dell’ altro. Le situazioni degenerano, di solito,quando interessi economici particolari,ricerca di potere, ignoranza hanno il sopravvento sulla ricerca di soluzioni condivise per un benessere comuni.
Mettersi in gioco, costruire buone premesse, buone pratiche è fondamentale anche se non sempre sufficiente ad ottenere i risultati attesi..
Accogliere nella comunità persone, che sono anche migranti, senz’altro arricchisce sul piano umano. .E se anche fosse solo una goccia, porta un po’ di ristoro nell’arsura che stiamo sperimentando.
È giusto che chi scappa dalla guerra venga aiutato e io sono contento che una parte delle tasse che verso vengano usate a questo scopo: dio non voglia, ma dovesse capitare a me e alla mia famiglia, sarei contento di avere un posto dove poter andare e sperare in un futuro migliore, come fa chi oggi arriva in Italia.