Si stava approssimando il Natale. Giuditta, una ragazzina di 8 anni, lo aspettava da tempo. Lo desiderava tanto: forse a cause delle atmosfere create dalle melodie di natale, dalla fragranza dei dolci che la mamma preparava o dalla costruzione gioiosa, insieme al papà, del presepe. A tutto questo pensava e tutto questo alimentava l’attesa. Ma c’era anche dell’altro. Giuditta desiderava la neve. La neve durante la notte di Natale. La neve bianca, la neve che tutto ricopre, le cose belle rendendole ancora più belle e quelle brutte ricoprendole, per un po’. “La neve è stata rubata, non cade più” le disse il papà, sperando così di spegnere l’interesse insistente di Giuditta. Tutt’altro. La bambina prese il lapis e scrisse a Babbo Natale. “Caro Babbo Natale, fammi un regalo che desidero tanto. Anzi non farmi regali. Ne ho tanti, troppi. Fa che la notte di Natale cada la neve.“ Giunse il 24 di dicembre. Il tempo prometteva tutt’altro: il freddo non arrossava i nasini dei bimbi, nubi medio – alte velavano il cielo e un leggero vento di scirocco anticipava la pioggia. La mamma stava preparando i dolci e Giuditta, con il papà, il presepe. Guardava spesso fuori dalla finestra e rimaneva in silenzio. Il papà capiva e cercava di distrarla. Ricoprì il pendio che saliva dietro la grotta con farina bianca. Nel tardo pomeriggio iniziò a piovere. Il presepio era pronto e i dolci nel forno. La sera Giuditta cenò con l’umore in agrodolce. Poi cedette al sonno e si addormentò.
D’un tratto sentì un rumore e si svegliò. “Forse è babbo natale” pensò. Si vestì e andò a vedere. Non lo vide. Ma cosa vide dalla finestra? Milioni di fiocchi volteggiare nell’aria. Siiii nevicava! Un manto alto un palmo di mano ricopriva ogni cosa, in ogni dove. Che gioia! Babbo Natale aveva risposto alla sua letterina. In silenzio, indossò la sciarpa, i guanti di lana e il berretto pop pon lavorato a maglia dalla nonna e si precipitò nel cortile per costruire il pupazzo di neve. Prese una carota, due fagioli e il cappellaccio del nonno e si mise all’opera. La cagnetta Fiocco di Neve le faceva compagnia, scodinzolando la coda così velocemente da creare, nell’aria, piccoli vortici. Mentre stava inserendo il naso – carota, sentii una voce lontana “Giuditta la colazione è pronta”. Rimase per un po’ nel mondo di mezzo tra il giorno e la notte. Il giorno ebbe la meglio, aprì gli occhi, si guardò attorno, la luce illuminava la stanza e guardò fuori. Pioveva! Era stato tutto e solo un sogno… si fermò un attimo, raccolse le idee, il ricordo dell’emozione vissuta nel sogno prevalse sulla tristezza e sul rammarico. Ringraziò col pensiero Babbo Natale: di più non avrebbe potuto fare, ricordandosi quello che il papà le aveva detto il giorno prima. Poi corse in cucina e con un abbraccio sussurrò “Mamma, papà buon Natale – e facendo l’occhiolino aggiunse – bianco natale, per chi è capace di sognarlo”.
Chi ha rubato la neve?
Il breve racconto di Giuditta è concluso e la penna si riposa un po’. Era rimasto aperto però un quesito: chi ha rubato la neve? Dell’indagine si era occupato l’investigatore Andrea Montenevoso che aveva il mandato di riassumere l’esito delle lunghe indagini, in due sole parole per di più in latino. Quali? Attenzione, attenzione, aprite bene gli occhi “Avidĭtas, cupiditas”. Per chi ha studiato solo l’inglese le due parole hanno un solo significato l’avidità.
Conclusioni
La storia, cari lettori, è una metafora spicciola anche sull’uomo e il suo rapporto con la natura. Perché non cade quasi più la neve dove un tempo, faceva spesso visita? Confidando nei ricordi corroborati anche dalle foto, negli anni 60, la neve è caduta abbondante a Gemona la notte di Natale (diversamente dalla storia), la tarda mattinata di un altro Natale, ha imbiancato in pochi attimi il paesaggio con fiocchi dalle larghe falde; se allunghiamo lo sguardo sul calendario anche durante la notte che apre al nuovo anno è stata ricoperta da 40 cm di neve farinosa seguita da 17 giorni in cui dall’anticiclone russo siberiano ci ha fatto compagnia, conservando la neve e la gioia dei bimbi.
Tutti noi conosciamo le cause di tutto ciò. Abbiamo trattato il cielo come fosse una discarica e il clima è cambiato e sta accelerando i cambiamenti, le acque del mare si innalzano e si acidificano, pezzi di mare, diventano inospitali per la vita, le foreste più ricche di biodiversità si riducono e i deserti crescono, i fenomeni estremi si intensificano nella frequenza e intensità e intanto le disuguaglianze tra gli uomini aumentano.
Anch’io mi appresto a preparare il presepe. Il Papa, giorni or sono ha ricordato che il presepe è il vangelo in dialetto. Laicamente è una esperienza creativa che lega cielo e la terra, le tradizioni e chi vuole anche la modernità. Quest’anno nel presepio metto la neve sulle alture e le strade accessibili solo ai bambini. Ci sono anche le palme che saranno verosimilmente parte integrante dei nostri paesaggi futuri.
Al pari di Giuditta anch’io mando a Babbo Natale una letterina in cui gli chiedo che ci aiuti a riconoscere e praticare il senso del limite nelle nostre azioni di fronte a un pianeta depredato, a liberaci di tante cose inutili che accumuliamo facendoci scoprire la bellezza della leggerezza nel nostro incedere e nell’incontro con le diversità. Praticare in sostanza il motto di Alexander Langer, che più di 25 anni fa auspicava maggiore lentezza, dolcezza e profondità nella nostra vita è nella società per rendere desiderabile la transizione ecologica, per sceglierla e non subirla dagli eventi.