Ambiente

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L’aghe a Glemone. Il primo acquedotto

Nel precedente numero abbiamo raccontato la storia dell’acquedotto di Gemona dai giorni nostri ai primi anni del ‘900. Continuiamo a raccontare storie di acqua ripartendo dal tempo opposto, dal primo acquedotto di Gemona.

Il primo acquedotto

Il Glemine costituito di roccia carsica e pietre, ricoperto da terreni sottili, nasconde un bene prezioso: l’acqua. Sette sorgenti hanno alimentato il primo acquedotto di Gemona; le altre sorgenti alimentano la fontana del Turc, quella di Silans, il Lavadôr e, un tempo, le contigue canalette di irrigazione. Un luogo importante per la storia di Gemona, plasmato dall’acqua che sgorga dalla roccia.Dicono che probabilmente i primi manufatti risalgono al 1300, ai tempi della Magnifica Comunità. Siamo certi che le tubazioni in legno vennero danneggiate dai soldati di Mapoleone alla fine del 700. L’intero sistema venne risistemato dagli austriaci durante la loro dominazione attorno al 1830 (Marco Patat e Oscar Soravito in “Invito a Gemona”). L’acqua delle prese arrivava nel Centro Storico ed era per tutti disponibile nella fontana sotto il Municipio.

Una camminata “virtuale”. Si parte dal Troi dai cincent e dopo il primo tornante, seguendo un sentiero poco tracciato, si arriva ad un pianoro in cui si individua un troppopieno, segno evidente che nei paraggi ci sono dei tubi d’acqua. Riprendendo la salita, se ne intravvede un secondo e, più in alto ancora, la 1^ opera di presa: sotto la volta in pietra l’acqua scende da un cunicolo scavato nella roccia. Accanto, troviamo la 2^ presa, purtroppo molto rovinata a causa del terremoto e dall’incedere del tempo. Anche qui l’acqua scorre su pietre lavorate che “entrano” nella roccia ed un tubo di ghisa ci ricorda che l’acqua per gravità arrivava anche dalle opere di presa a monte. Riprendiamo la marcia sul sentiero che gira attorno a una sporgenza panciuta della montagna e che corre su una linea immaginaria di confine tra le rocce marnose e detriti morenici a valle, e rocce calcaree a monte. Dopo aver attraversato diagonalmente una frana, causata dal peso di un muraglione paramassi, si giunge ad un belvedere da cui si gode un panorama il cui orizzonte arriva al mare. Guardando verso Montenars, dopo una pista forestale, si intravvede sulla sinistra la 3^ opera di presa, più piccola delle altre. Da lì sale un sentiero di pietre appena abbozzato che ricopre il tubo dell’acqua che porta alla 4^presa; spostandosi in quota a sinistra, dopo una trentina di metri, si trova la 5^presa che ha davanti una vaschetta scavata nella pietra che serviva come abbeveratoio. Le ultime due prese si possono rintracciare sotto la pista, a sinistra e a destra della terza presa.

Al termine del nostro percorso ci rendiamo conto che quell’acqua e quelle opere permettono a Gemona di raccontare la sua storia. Possiamo salvaguardare le opere di presa? Sarebbe auspicabile di sì. Lo chiederemo anche al CAFC.

 

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