Così inizia la leggenda “il lago di Campo” tratto dal libro “Glemone in tes liendis” edito a Gemona in occasione del primo centenario della morte di Valentino Ostermann.
A dire il vero il “lago di campo” è sicuramente esistito allorquando il grande ghiacciaio si è ritirato e, tra le ultime lingue di ghiaccio che uscivano dalle vallate e le colline moreniche, si è formato una grande distesa d’acqua. Questo fu possibile in quanto, tra 75 mila e 10 mila anni addietro, l’anfiteatro morenico costituì una vera e propria diga di sbarramento alle acque fluviali. Esso si estendeva verso nord in due bracci fino a Venzone e Somplago e possedeva una profondità massima di oltre 100 metri (Sgobino, 1997).
Durante gli ultimi 10.000 anni, trascorsi dalla formazione del Tagliamento, esso, insieme ai suoi affluenti, ha colmato il lago di detriti ghiaiosi permeabili e, infatti, lo strato superficiale del campo Gemonese è alluvionale e ricco di scheletro.
Questo lago, peraltro, esiste ancora, solo che invece di essere sopra il livello del suolo è un paio di metri sotto. I livelli di falda variano infatti dai 5,40-6,40 m (sotto il livello di campagna) di Campagnola ai 5,40-5,90 m di Taboga fino poi ad arrivare ai 2,00-2,50 m di Rivoli di Osoppo e dell’area a ridosso delle colline di Buja (misurazioni 1951-1975).
Nella zona di confine tra Artegna, Buja e Gemona (località Molino del Bosso), infatti già nel 1931, con la creazione del Consorzio per l’acquedotto del Friuli Centrale (CAFC) nato dall’unione di 14 comuni si fece un primo pozzo per un acquedotto che riforniva questi primi comuni aderenti. Nel 1947 lo stesso consorzio acquisì 6 ha espandendosi poi man mano fino ad arrivare ai giorni nostri con 12 pozzi che prelevano circa 1.800 l/s (5.000 m3/h cioè oltre 50 milioni di m3/anno per servire circa 170.000 persone che salgono a quasi 300.000 d’estate. E’ una quantità d’acqua pari a quella spostata dalla frana del monte Toc nella tragedia del Vajont nel 1963. Un vero oro bianco che pochi conoscono, infatti, l’acqua del Mulin del Bosso è molto buona sia in termini fisici (quantità di minerali contenuti) sia microbiologici (perfettamente potabile).
Già i romani però avevano visto nell’area del Gemonese un bel luogo sicuro come rifornimento d’acqua per la stazione di posta ad Silanos (fontana di Silans in Godo) dove tuttora c’è una fontana di acqua fresca molto abbondante. Ricordiamo peraltro che il primo acquedotto di Gemona è dell’inizio dell’ottocento ed aveva la presa presso l’area della chiesa di Sant’Anna e riforniva la fontana del comune, alcuni palazzi nobiliari (Elti, Caporiacco, ecc.) e le condutture erano a tratti di tòf (conglomerato, puddinga).
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L’immagine di copertina è tratta dal libro “Il drago dal lât di Cjamp” – edito dalla Patrie dal Friuli, peraulis di Alida Londero, idee e ilustratsions di Nadia Gubiani.